Io non ci volevo andare. Non volevo nemmeno entrarci in quel circolo. Ma avevo promesso a mio padre un calendario per l'anno nuovo.
La prima volta che li vidi, il loro capo era raggiante. Sembrava davvero una splendida persona: di grande bellezza e carisma, gentile con tutti, educata, mi fece trovare a mio agio nonostante non conoscessi nessuno. Le facce di tutti erano a me sconosciute, tranne quelle di due signore e di un politico di cui non ricordavo assolutamente il nome, ma che avevo visto certamente su qualche volantino o locandina.
Il circolo era illuminato dalle luci al neon, fuori il buio stava iniziando a calare nonostante fosse ancora pomeriggio. Ma era quasi inverno, quindi non poteva essere altrimenti.
Mi offrirono da mangiare e da bere, mi accolsero con simpatia nonostante il mio disagio per la presenza di tanti sconosciuti.
Incontro dopo incontro, circostanze ben diverse dalla prima, il gruppo si formava e il legame si assoldava.
All'inizio non mi accorgevo delle attenzioni che il politico aveva per me. Poi cominciai a farci caso. E notai che aumentavano. Non so perchè non gli dicessi mai nulla, era così strano per me. Così "anziano". Soprattutto quando scoprii che il suo mondo era così troppo vicino al mio. E che la sua sorellina prendeva l'autobus con me quando andavo al liceo.
E le sue attenzioni non mancavano mai. I suoi inviti sempre più frequenti. All'inizio non mi sembravano nemmeno degli inviti, solo delle "possibilità di uscita con gruppi di persone". Mi sembrava che me lo chiedesse solo per pietà, conoscendo le mie attitudini al "non uscire".
Il giorno di Pasqua mi abracciò pure in pubblico davanti a tutti. Ma non ci diedi molto peso, in quel periodo avevo problemi sul lavoro e lui era il mio ultimo pensiero.
Infine, giunse la fine dell'estate di quest'anno. La sua presenza in un'occasione in cui sapeva che io ci sarei stata e lui non era tenuto a venire; un suo nuovo invito. Essendo giorno non avevo motivo di rifiutare, passare un po' di tempo in compagnia non poteva essere male. Più che altro sembravo la sua donna trofeo in mezzo alla folla. Un ornamento. Fece pure un gesto carino, a cui non ero abituata da anni. Il tempo passò in fretta, si assicurò di vedermi l'indomani. E di sicuro non valeva come uscita.
L'indomani ci rivedemmo, ma al momento del saluto fece lo stesso gesto repentino quanto inequivabile della Pasqua. In una piazza superaffollata. Davanti al resto del circolo, sempre più insospettito.
Il problema di tutta questa storia è che poi mi prese un'insana felicità. La gioia di una persona che è accettata nonostante i suoi difetti. Di qualcuno che è apprezzato così com'è. Io volevo solo chiudermi in me stessa. A frenarmi è la paura di cacciarsi in qualcosa di sbagliato. La paura di soffrire. E di far soffrire. Far soffrire qualcuno che mi fa rodere il fegato, qualcuno che non ha nemmeno il coraggio di farmi un invito, nè di accettare un mio invito.
Sarà tutto solo fumo e niente arrosto?